Prima di avere figli, ero la madre perfetta.
Autorevole non autoritaria, dolce ma non fessa, comprensiva ma decisa.
Avrei insegnato finalmente l’educazione ai miei figli, mica come quei piccoli vandali con cui ho a che fare tutti i giorni in giro: urlanti, scalpitanti, sfacciati, capricciosi, svogliati.
Avrei insegnato finalmente un po’ di amore per la cultura ai miei figli, mica come quei ragazzetti che mi si presentano a lezione vantandosi di avere preso 4 nel compito in classe e di non avere la minima voglia di recuperare “perché tanto non serve a niente”.
Poi ho avuto dei figli veri, in carne ed ossa.
Mi sono resa subito conto che la miriade di luoghi comuni e frasi fatte sul rapporto genitori-figli, beh, erano tutte vere. La saggezza popolare in supposte, insomma.
Non importa quante volte io debba ripetere che non ci si scanna per una macchinina: loro lo faranno una volta di più.
Non importa quante volte io gli dica che non ci si mettono le dita nel naso: loro lo faranno sempre e davanti a chi gli pare.
Ma quello che più di tutto mi è parso chiaro quest’anno è che non sono sola nel percorso impervio di educare dei piccoli uomini del domani.
Questo è stato l’anno dell’ingresso dei Cinni in quel magico carrozzone che è il mondo scolastico e questo è stato l’anno peggiore della mia vita con loro.